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B_NORM    
view post Posted on 6/4/2011, 14:42 by: _Lind@_Reply
C’è una costante ironia nelle pagine de Il Gattopardo, espressa, tra l’altro, dall’animazione metaforica degli oggetti o dall’uso esasperato di termini latini, latineggianti, pomposi, a volte barocchi. E non avrebbe potuto essere altrimenti poiché, come molti sanno, l’ironia tipicamente siciliana, beffarda e tagliente, contraddistingue il ricordo di Lampedusa ogni qualvolta leggiamo di lui. L’autore non fa quasi mai capolino nella vicenda ma, nella rarità delle intromissioni, la sua idea si esprime attraverso massime ricche di sarcastica verità: «attribuire ad altri la propria infelicità […] è l’ultimo ingannevole filtro dei disperati». Le descrizioni assolate, dominate dal senso di morte e dalla pesante pigrizia di un clima quasi africano, fanno intravedere splendidi paesaggi, indimenticabili raffigurazioni, tra cui quella dei giardini di Villa Salina e la fontana di Anfitrite; e indimenticabile è anche l’amato alano di don Fabrizio che — scriveva Lampedusa a Lajolo — «In un romanzo da cui quasi tutti i personaggi escono male è l’unico sicuramente positivo». Bendicò, eterno amico a quattro zampe, è come le stelle, ha il loro stesso compito: tranquillizza il principe, fiuta falsità e ipocrisie (significativo il suo ringhiare contro Angelica). I critici ne hanno giustamente sottolineato il ruolo strutturale all’interno della vicenda: appare all’inizio, facendo irruzione nella sala in cui si recita il rosario e nell’ultima pagina, quando muore trovando riposo «in un mucchietto di polvere livida», a suggellare la fine di tutto.
L’ideologia politica di Tomasi di Lampedusa è riassunta e semplificata, come scriveva Pampaloni, nella terza parte de Il Gattopardo — «senza vento l’aria sarebbe stata uno stagno putrido, ma anche le ventate risanatrici trascinavano con sé tante porcherie» —, nel discorso di Tancredi e nella sua celebre frase che descrive la situazione storica della Sicilia del 1860: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi». Infine, in riferimento alla concezione di Lampedusa della storia umana, vale l’espressione di don Fabrizio: «e dopo sarà diverso, ma peggiore».
L’ombra della morte, quasi sempre presente, è «come un ronzio continuo all’orecchio», nei presagi e nel sonno, nel solleone e negli oggetti; l’ineluttabile destino, a volte vigliacco, altre spudorato, si avverte costantemente in un crescendo vertiginoso. «L’annunciazione della morte comincia per don Fabrizio a palazzo Pantaleone […] nel calore del ballo […], nel suono del valzer che gli sembra l’immagine dell’incessante passaggio del vento sulle terre assetate» (3). E anche nel ballo dei due giovani innamorati, Angelica e Tancredi, il nero cupo e opaco della fine pesa angoscioso e funesto; ed essi sono: «Attori ignari cui un regista fa recitare la parte di Giulietta e quella di Romeo nascondendo la cripta e il veleno, di già previsti nel copione». Sono marionette in uno squarcio orribile e patetico, mentre li immaginiamo: «Nella reciproca stretta di...

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Comments: 0 | Views: 1,178Last Post by: _Lind@_ (6/4/2011, 14:42)
 

B_NORM    
view post Posted on 4/2/2011, 21:28 by: _Lind@_Reply
IL PRINCIPE
Opera rivoluzionaria nel panorama della teoria politica, scopo pratico non limitato a quello personale per ottenere incarichi presso i Medici. Egli si rivolge a loro per dare strumenti d’azione per avviare un processo di formazione di un potere accentrato, per risolvere la situazione italiana di guerre e invasioni straniere.
Lucida , spregiudicata teoria con razionalità, rigore scientifico, per un’utopistica esortazione alla libertà dell’Italia. Prima parte di conoscenze storiche, seconda di riflessioni personali.
Macchiavelli per affrontare questa situazione propone una radicale rifondazione teorica della politica con modelli di comportamento e d’azione universali.

Egli è ben consapevole della novità della sua opera e per questo dice che quelli che lo hanno preceduto hanno in realtà parlato solo di ideali. La sua teoria politica si basa sulla verità effettuale; sulla sua diretta esperienza come acuto osservatore dei contemporanei che attraverso l’esperienza accumulatasi con secoli di storia, da buon umanista infatti egli ama studiare gli antichi per trarne lezioni per il presente.
Affinchè la storia sia maestra occorre credere che le situazioni storiche siano comparabili e i comportamenti corretti possano essere riprodotti, la teoria di M. si fonda su queste costanti fondamentali. Una di queste è che la natura umana è immutabile e malvagia, le circostanze potranno anche cambiare ma l’uomo sarà cattivo per sempre, e fondandosi su questo si può così trovare un modello di comportamento. Questa convinzione è stata definita naturalismo, contrapposto al fideismo e ad uno storicismo radicale.( alcuni studiosi lo avvicinano agli scienziati).

Questo suo pragmatismo ha come ulteriore conseguenza un altro cardine fondamentale: politica e morale sono due ambiti distinti, e il principe nel suo agire politico non deve farsi scrupolo di violare le leggi della morale. Egli deve essere consapevole che spesso se ci si adegua alla morale si va in rovina. Spesso un’azione contro la morale può evitare una rovina peggiore dopo. La politica ha una sua moralità specifica, diversa da quella comune, è la NECESSITà la giustificazione a questo comportamento, il fine giustifica i mezzi.

Macchiavelli dimostra che spesso i valori classici cristiani di bontà, religiosità, lealtà liberalità e mitezza spesso sono dannosi per lo stato. Il principe deve essere astuto e sleale e non curarsi delle azioni malvagie se sono necessarie. Deve apparire il contrario, e se non riesce a simulare quello che fa, non deve curarsi dell’opinione pubblica ( a meno che sia dannosa), ma meglio apparire malvagio che perdere il potere. Meglio essere temuto che amato.

Con questa natura malvagia dell’uomo, M. capovolge l’idea umanistica di uomo, ovvero il saggio che riesce a unire etica e politica. Egli non rinuncia all’ideale di virtù , con cui l’uomo riesce a organizzare un solido stato.
Il naturalismo di M. suggerisce che ogni uomo abbia tratti d...

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Comments: 0 | Views: 2,548Last Post by: _Lind@_ (4/2/2011, 21:28)
 

B_NORM    
view post Posted on 27/12/2010, 10:13 by: _Lind@_Reply
IL DIBATTITO SULLA LINGUA
La disputa sulla scelta del latino o del volgare si era oramai conclusa con la nascita della letteratura in volgare, si apriva però un nuovo dibattito all’inizio del 500; quale volgare usare. Acceso e dai forti contrasti, questa discussione durerà fino all’unificazione politica italiana.

Calmeta, Equicola, Castiglione aspirano ad una realtà linguistica superiore a quella toscana, vasta, elegante, universale che troverebbe come luogo naturale la corte.
Essi ritengono che la lingua da prendere a modello è quella cortigiana, commistione di diversi dialetti sotto l’influsso del latino. La lingua di corte è ITALIANA perché è fondata sull’uso, legittimato dal buon gusto di un preciso ceto sociale. Secondo questi teorici, vi è una contrapposizione tra lingua parlata plebea, toscana regionale, e quella parlata eletta, cortigiana che accoppia la diffusione regionale e la raffinatezza. Viene per questo sostenuto il primato delle “ discrezione raffinanata della conversazione di palazzo” rispetto “ al rigore senza libertà della grammatica scritta”.

Secondo altri è il fiorentino la lingua italiana, e se ne 500 esiste una lingua conosciuta da molti , è dovuto all’assunzione del fiorentino da parte degli autori, grazie alle sue qualità intrinseche. La lingua nazionale è il fiorentino perché è a Firenze che la si parla naturalmente. Si insiste sull’assoluta priorità dell’uso: “ la lingua nasce dall’uso di chi la parla” . Questa teoria limita il peso dei modelli letterari perché enfatizza l’uso naturale. Per i cortigiani l’uso era in un ambito artificiale come quello della corte.

La tesi vincente fu quella arcaizzante di Bembo, fondato sui modelli letterati trecenteschi. Fu quella idonea alle esigenze dei ceti intellettuali. Il suo interesse principale è la considerazione letteraria e artistica non le qualità o l’uso del fiorentino.
Egli sostiene che il fiorentino contemporaneo corrompe gli autori con dialettismi. L’assunzione dei modelli letterari arcaici è la soluzione più naturale, essi fungono da : modello linguistico-letterario, mediatori con la cultura latina e classica, legittimatori dell’uso del volgare con il loro prestigio.
Un elite intellettuale decreta vincitrice la tesi del Bembo, che progressivamente si sta isolando dal contesto più attivo della nazione.

GLI ASOLANI
Dialogo interamente dedicato al tema dell’amore. È la prima prosa in toscano scritta da uno che non lo era. Diventeranno poi fonte di temi e problemi a cui attingeranno diversi lirici.
Egli si pose il compito di legittimare il tema d’amore in letteratura, dandogli importanza e serietà che la vecchia concezione ovidiana non poteva più garantire. La dottrina dell’amor platonica viene utilizzata per il suo progetto di rifondazione della letteratura volgare.
Negli Asolani non è specificata la posizione che prende Bembo, i personaggi hanno ciascuno la sua autonomia, non c’è poi una conclusione univoca: un processo asce...

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B_NORM    
view post Posted on 30/10/2010, 14:27 by: _Lind@_Reply
L’Umanesimo va dalla fine del Trecento in seguito agli impulsi di intellettuali come Petrarca e Boccaccio alla metà del 500.
Valorizzazione studia humanitatis: flilosofico-letterali , desiderio di emulare e far rinascere la civiltà antica depurandola da interpretazioni moralistiche e allegoriche.
1380-1450 UMANESIMO LATINO/CIVILE: più radicale rinnovamento culturale .
1450-1492 UMANESIMO VOLGARE: il volgare affianca e sostituisce il latino , renovatio umanistica, slancio creativo.
1492-1540 Crisi dell’Umanesimo, problematiche più amare, necessità di nuovi bisogni.

BREVE STORIA
I comuni cominciano a diventare signorie talvolta con processi violenti in quanto non ci sono vere e proprio strutture statali , ma la presa di potere di una famiglia influente. Tali signori avevano un potere limitato dalle antiche magistrature municipali. ( ampio divario fra le classi sociali).
Italia è molto frammentata politicamente , ma ciò favorisce un policentrismo culturale poiché ogni corte è un centro a sé.
Con Lorenzo de Medici e la sua pace di Lodi 1454 abbiamo un periodo di pace prosperosa che durerà fino alla sua morte (1492) da cui partiranno le discese dei sovrani francesi.

L’esaltazione stimola la diffusione di una visione laica del mondo. Faber fortunae suae -> rinnovata lettura di Aristotele, esame più rigoroso della natura, rivalutazione della visione pagana. Filosofia materialistica , distacco dalla metafisica cristiana. Nel complesso si cerca di conciliare cultura classica e tradizione cristiana , cercando di separare i diversi ambiti. Critica interiore .
RENOVATIO FIDEI: umanizzare la religione ponendo l’individuo al centro del rapporto uomo-Dio esaltando la dimensione interiore delle fede. Lo spirito filologico si applica anche sui libri teologici: si rileggono i testi dei Padri cercando di escludere l’interpretazione medievale. ( critica anticuriale).

Petrarca aveva delineato un modello nuovo di letterato: si dedicava alla letteratura in modo esclusivo e professionale. Raffinamento della corte attraverso permanenza di nobili che vogliono essere divertiti, la Mecenatismo : commissiona opere , stimola la ricerca, da opportunità economiche , protezione e libertà di espressione, difficilmente reperibili altrove.
Questo ambiente favorisce lo sviluppo di una cultura alta, aristocratica, e lo sviluppo del teatro.
La Chiesa è l’alternativa alla corte, umanisti nominati vescovi, cardinali, c’è una laicizzazione e mondanizzazione dell’ideologia e della cultura.
La stampa non partecipò al consolidamento del mercato librario poiché i diritti d’autore non erano tutelati, e poiché era più nobile avere i donativi dei signori.
La cultura umanistica sentì il bisogno di dibattere, confrontare le diverse idee e per questo si vennero a formare cenacoli e accademie come istituzioni culturali , poiché per la formazione individuale occorreva uno scambio di idee.
Nascita di Biblioteche pubbliche , aperte agli studi...

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Comments: 1 | Views: 1,363Last Post by: lab technician (12/12/2010, 02:43)
 

B_NORM    
view post Posted on 10/9/2010, 18:31 by: _Lind@_Reply
TIPOLOGIA A
Se non è amore cos’è dunque quello che sento?
Ma se è amore, perdio, perché e quale?
Se è cosa buona, da dove arriva un effetto così acre e mortale?
Se è cattiva perché un tormento così dolce?
Se ardo di mia volontà perchè piango e soffro?
Se mi piace soffrire, a cosa serve lamentarsi?
O viva morte, o male dilettevole
Come puoi così tanto agire in me se io non lo permetto?
E se io lo permettessi, sbaglio a soffrire.
Mi trovo senza potere in una fragile barca in mezzo al mare con venti contrari,
così leggera di sapere e così carica di errore
che io stesso non so quello che voglio,
e tremo in piena estate desiderando l’inverno.
Sonetto dallo schema metrico ABBA ABBA CDE DCE.

Questo sonetto, anche a prima vista , risulta facilmente attribuibile al Petrarca perché rispetta lo stile, i temi e le espressioni che sono presenti in diverse opere del Canzoniere.
Il suo linguaggio poetico è riconoscibile da diverse caratteristiche: così come in “Pace non trovo e non ho da far guerra”sono presenti molte antitesi anche qui ne abbiamo diverse: nel verso 1 e 2 abbiamo l’opposto non è/è ( posto anche come un chiasmo s’Amor non é/è amor), nei versi 3 4 abbiamo aggettivi antitetici: bona/aspro e ria/dolce , nei versi 8 e 9 ,potrebbe sembrare anche un’ Epanalessi, però è ripresa nel senso opposto s’io no ‘l consento/ si io ‘l consento, infine abbiamo un’intero verso, il numero 12 in cui abbiamo sì lieve di savere/d’error sì carca.
Il secondo elemento caratteristico del linguaggio petrarchesco è la presenza della coppia di aggettivi ; ovvero l’abitudine che Petrarca ha di associare due aggettivi per descrivere uno stato, un soggetto: verso 3 effecto aspro e mortale, in questa poesia sono più presenti le coppie formate dal Così più aggettivo, per poter enfatizzare di più la caratteristica espressa dall’aggettivo: verso 4 sì dolce, verso 10 sì contrari, verso 12 sì lieve e sì carca.
Infine anche i parallelismi sintattici sono tipici del Petrarca; in questa poesia possiamo vedere come il verso 3 e 4 abbiano la stessa struttura (Se bona, onde l’effecto aspro mortale?
Se ria, onde sí dolce ogni tormento?) così come il verso 5 e 6 (S’a mia voglia ardo, onde ’l pianto e lamento?
S’a mal mio grado, il lamentar che vale?).
Questa poesia è concentrata sulla situazione emotiva del poeta poiché le parole riferite al poeta stesso sono molte: ( Io, mia, mio, me, io, io, mi , mi, i’medesmo io mi), inoltre, descrive le sensazioni che non riesce a spiegarsi perché sono molto opposte: come dice nelle prime due quartine egli non riesce a definire quello che sta provando, non vorrebbe che fosse amore, ma è costretto alla fine ad accettare che sia così, egli non sa cosa vuole perché soffre me gioisce nello stesso tempo, non sa se l’amore è buono o cattivo perché anche se soffre sta bene, non sa bene se è lui che vuole così o no perchè non capisce da dove arrivi la sofferenza, e se dunque lamentarsi è inutile ...

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Comments: 0 | Views: 2,854Last Post by: _Lind@_ (10/9/2010, 18:31)
 

B_NORM    
view post Posted on 3/5/2010, 15:41 by: _Lind@_Reply
Il DECAMERON

Nel proemio Boccaccio dichiara che con la sua opera vuole consolare e distrarre il popolo sofferente, soprattutto le donne perché più di tutti hanno bisogno della consolazione della letteratura. Mira quindi alla distrazione, diletto verso un pubblico di non letterati.
-per difendersi dall’accusa di immoralità sostiene che l’amore è una forza naturale irrefrenabile che può essere preso come soggetto di un’opera narrativa. Da qui anche l’esigenza di usare un linguaggio libero e spregiudicato. ( VERSO LA CONCEZIONE AUTONOMA DELL’ARTE, SENZA UN FINE MORALE-PEDAGOGICO).
- Letteratura Mezzana a metà tra una letteratura alta, accostabile alla teologia, e alla favola, soprattutto con la sua scelta delle donne come destinatarie. ( FILocolo).
-il narratore-autore Boccaccio scompare dietro i novellatori. Gli si possono attribuire solo i giudizi e gli interventi della cornice, e nel tentativo di dare dei tratti psicologici ai novellatori. Con questo struttura intricata egli crea uno schermo tra sé e il lettore.
- Realismo boccacciano: assenza di prospettiva trascendentale e ampiezza e varietà dei temi. Prospettiva mondana, avventura, imprevisto, senza tipizzare i proprio soggetti, ma analizzandoli più a fondo in una dimensione umana e mondana.
- I suoi personaggi arrivano da tutta la Gamma dei ceti sociali, varietà vastissima dei luoghi e degli ambienti così come quello dei registri linguistici( comico, tragico, serio, satirico…). Letteratura dell’intelligenza, della comicità, della crudeltà morale ( i falsi amici di Calandrino, i fratelli di Lisetta. È questa la grande novità di Boccaccio, l’ampliamento dei temi narrabili, come aveva in parte anticipato Dante rende quest’opera una COMMEDIA UMANA perché è collocata nel mondo, per la grandezza delle categorie descritte, e al laicismo. (influirà sulla commedia del ‘500).

TEMI
-Due grandi nuclei: mondo cortese in decadimento e realtà cittadina. Il mondo cortese è rappresentato nei suoi momenti deteriori ma rimane il luogo di elaborazione di una cultura raffinata , il mondo cittadino, fiorentino, è visto in positivo, c’è un auspicio sottinteso di vederei due modelli insieme, come ideali per il comportamento.
- Il mondo mercantile rappresenta una parte consistente della realtà borghese, era da dove proveniva lui, anche se se ne era distaccato . Ne descrive i protagonisti e gli ambienti, come mai nessuno prima. Non è solo una descrizione positiva, infatti B. ne esalta le virtù ( prudenza, intelligenza, intreprendenza) ma ne evidenzia anche i limiti ( insensibilità, cupidigia, spregiudicatezza..) perché non ha una tesi da sostenere. Spesso questa EPOPEA DEI MERCATANTI sembra ricordare aspetti nostalgici del mondo cortese, perché B. da giovane frequentava l’aristocrazia napoletana essendo figlio di una ricca famiglia mercantile.
-INTELLIGENZA, capacità di adattarsi ad una situazione adottando con prontezza i comportamennti più idonei. Dote laica e mondana dalle mill...

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Comments: 0 | Views: 1,404Last Post by: _Lind@_ (3/5/2010, 15:41)
 

B_NORM    
view post Posted on 22/2/2010, 16:03 by: _Lind@_Reply
Ahi Lasso Guittone d'Arezzo

Ahimè ora è tempo di soffrire tanto per tutti quelli che amano la giustizia, che io mi chiedo dove trova guarigione e mi stupisco che il lutto e il pianto non l’abbiano già ucciso, vedendo la nobile Firenze un tempo ricca di frutti e l’onorevole tradizione romana che certamente muoiono se al più presto non vengono salvate perché la sua onorata e ricca grandezza e il suo valore sono già quasi andati via tutti. Ahimè quando mai fu sentito un danno così crudele? Dio come hai potuto soffrire che la giustizia perisse e si innalzasse l’ingiustizia?
Vi fu tanta grandezza nell’ormai sfiorita Firenze, finchè fu leale con se stessa che manteneva una tradizione imperiale conquistando , per il suo valore, province e terre vicine e lontane, sembrava volesse creare un impero come aveva già fatto Roma, ed era facile, perché nessuno poteva mettersi contro. E questo le spettava giustamente poiché non si affaticava per ottenere un utile ma per mantenere giustizia e pace, e dopo che le piacque fare così progredì così tanto che al mondo non c’era posto in cui non si cantasse il pregio del Leone.

Guittone intona un planctus , lamento funebre sulla rovina di Firenze, con versi intensi e carichi di sgomento.
C’è un drammatico confronto nelle II stanza tra la decadenza presente e il passato glorioso, Firenze città imperiale, viene rappresentata come legittima erede della tradizione romana, ( Romani avevano fondato Firenze), si parla più per concetti universali.
Uso dei simboli araldici di Firenze Fiore e Leone: il fiore simbolo di vitalità bellezza, ( nelle I stanza è un omaggio al passato, nella II un rammarico per la situazione del presente) il Leone invece, simbolo di fierezza e potenza appare soggiogato.
È un’invettiva, polemica morale e politica, inoltre è presente anche una certa ironia nel finale nel ringraziamento dei ghibellini.
Struttura complessa, coblas capfinidas, stile sublime, forti nessi logico-sintattici, ritmo intonato, incalzante e impetuoso. Antitesi, metafore e metonimie.

Donna de Paradiso di Jacopone da Todi
È una lauda dialogica tra un nunzio, Maria, la folla e Cristo. Jacopone mette al centro la Vergine, col suo dolore, strazio, lamenti e grida di donna terrena. È un dramma liturgico, centrato sull’episodio essenziale della storia sacra dei cristiani, piena di dolore che fa dimenticare a Maria la missione provvidenziale che si compie. Si svolge in un ambito umano senza riferimenti teologici, senza riflessioni sulla passione, il senso è puramente il dolore umano. Non sono presenti macabre descrizioni né orrore del corpo. L’umanità sembra riscattarsi nella figura della Vergine come madre terrena, e in quella di San Giovanni e del nunzio a lei uniti in una solidarietà fonda...

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Comments: 0 | Views: 181Last Post by: _Lind@_ (22/2/2010, 16:03)
 

B_NORM    
view post Posted on 22/2/2010, 15:58 by: _Lind@_Reply
CHANSON DE ROLAND
Il componimento è diviso in lasse, che si configurano come mondi autonomi perfettamente definiti. Tra ogni lassa ci sono legami che si richiamano a distanza. Le scene che si ripetono 3 volte danno un effetto di sospensione narrativa . il movimento della narrazione è circolare, le minime variazioni danno intensità all’episodio e concentrano l’attenzione sui particolari, trasfigurandoli in un aura soprannaturale.
Orlando è rappresentato come un eroe cristiano che combatte contro gli infedeli per conto di Dio. La sua fine va considerata come fine di un racconto agiografico: come un martire, 3 angeli portano la sua anima in cielo. L’intervento angelico è anticipato quando si parla dell’origine miracolosa di Durendala,( le reliquie incastonate), inoltre sono presenti altri elementi di fede: le invocazioni, l’atto di contrizione, la preghiera in punto di morte, le mani giunte. È anche però vassallo di Carlo, fedele, che ha partecipato alle numerose conquiste dei franchi elencate. Tale rapporto vassallatico è talmente intrinseco alla natura dell’autore che egli lo pone anche come modello del rapporto con Dio: Orlando offre il suo guanto a Dio come gesto di sottomissione che veniva eseguito durante il cerimoniale feudale.

Per la dolcezza della nuova stagione di Guglielo IX d’Aquitania
1071-1126
La lirica può essere considerata un repertorio delle situazione convenzionali della poesia trobadorica,: primavera come stagione privilegiata dell’amore, lontananza della donna, il patto d’amore che lega gli amanti, le chiacchiere dei maldicenti, l’amore come tensione e desiderio, ( ramo di biancospino v 15-16).
Il rapporto tra donna e poeta è modellato su quello tra vassallo e signore, trascinandosi dietro anche il vocabolario tecnico del diritto feudale. Il patto che lega i due amanti, l’anello il mantello il coltello divengono comprensibili solo nell’ambito delle istruzioni feudali della cerimonia d’investitura: il signore copriva il vassallo col mantello in segno di protezione

Contrasto di Cielo d’Alcamo
Possiamo vedere come questo componimento sia molto affine al genere provenzale della Pastorella: dialoghi che inscenano un rituale di seduzione a schema fisso, con scenario rustico , esplicite richieste amorose del corteggiatore ( aristocratico) e la fanciulla dissidente. In questo caso Amante e Madonna appartengono alla stessa categoria sociale, parlano la stessa lingua, ricorrendo sia a frasi di stampo cortese sia ad espressioni popolaresche. Questo intrecciarsi di registri linguistici mira ad un effetto comico. I due protagonisti cercano di ingannare l’altro simulando fino ad un certo punto. Il gioc...

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Comments: 0 | Views: 572Last Post by: _Lind@_ (22/2/2010, 15:58)
 

B_NORM    
view post Posted on 22/2/2010, 15:56 by: _Lind@_Reply
Al cuore gentile ritorna sempre L’Amore, come l’uccello torna nel bosco tra i rami verdi. La natura non creò amore prima del cuore gentile né il cuore gentile prima dell’amore: c nel momento in cui ci fu il sole, immediatamente ci fu la luce, e non fu creata prima la luce del sole, l’amore prende posto nel cuore gentile così come il calore nello splendore del fuoco. Il fuoco dell’amore si accende nel cuore gentile come le proprietà in una pietra preziosa in cui non discendono dal pianeta finché il sole non la rende pura, dopo che il sole con la propria forza ne ha tratto fuori ciò che è impuro, il pianeta da loro le virtù. Così la donna, come una stella, innamora il cuore che per natura è stato fatto nobile e gentile.
Amore risiede nel cuore gentile per la stessa ragione per cui il fuoco sta in cima al candelabro, li splende a proprio piacere luminoso e terso, non ci potrebbe stare in altro modo, tanto è suscettibile. Così la natura vile è avversa all’amore come fa l’acqua al calore del fuoco per il freddo. Amore prende dimora come luogo affine nel cuore gentile come il diamante nel minerale del ferro.
Il sole colpisce tutto il giorno il fango che rimane vile e il sole non perde calore; l’uomo superbo dice” Sono nobile di nascita” a lui paragono il fango, al sole la nobiltà d’animo, perché non si deve credere che la vera nobiltà risieda fuori dal cuore nella dignità ereditaria, se non ha un cuore nobile disposto alla virtù come l’acqua si lascia attraversare dalla luce mentre il cielo trattiene le stelle e lo splendore.
Dio creatore splende nell’intelligenza angelica ( movimento) più che il sole ai nostri occhI: essa riconosce il suo creatore oltre il cielo e movendo il cielo a Lui obbedisce; e immediatamente ottiene così la beatitudine da Dio per il giusto lavoro, così in verità la donna, non appena splende nei suoi occhi, dovrebbe dargli il desiderio di non staccarsi dall’obbedire a lei.
Donna, Dio mi dirà.. che cosa hai presunto?, quando l’anima mia sarà davanti a lui. “ hai passato il cielo e giungesti fino a me e mi scambiasti all’apparenza in un vano amore, perché a me e alla regina dei cieli convengono le lodi perciò cessa ogni inganno!” io potrò dirgli “Assomigliava ad un angelo del tuo regno non commisi errore se l’amai”.

Stanze I-V struttura argomentativi, in cui G. espone una teoria personale della nobiltà ( gentilezza) : la vera nobiltà non trova il suo fondamento nell’appartamento a stirpe illustre ma nelle virtù morale i intellettuali dell’individuo che sono qualità naturali. È questa la nuova mentalità borghese del tempo, in contrasto con la concezione di nobiltà di sangue feudale.
G. formula una teoria dell’amore, ( I-III) che ha sede naturale nei cuori gentili. La donna si manifesta all’uomo dal cuore gentile e lo innamora, come la stella infonde nella materia depurata, le proprietà che la rendono preziosa-> in questo modo l’innamoramento si configura come un tradursi delle disposizioni naturali: solo l’...

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B_NORM    
view post Posted on 22/2/2010, 15:55 by: _Lind@_Reply
Perch'i' no spero di tornar giammai

Questa componimento, rispetto alle altre opere di cavalcanti, segna un mutamento di registro, toni più dolenti e malinconici rispetto, a quelli tragici. È un colloquio pacato e confidenziale. La vera sofferenza sembra essere causata dalla lontananza.
Rivolgersi direttamente alla ballata come tramite tra la donna e il poeta, è un fatto originale. Questo fittizio colloquio con il proprio componimento, unica presenza nel deserto della solitudine, conferisce soavità alla comunicazione con la muta ballata a cui viene affidato il dolore.
Vengono riproposti tutti i temi del canzoniere cavalcantiano: servizio d’amore ( qui, alla ballata), lode alla donna, adorazione di lei, gentil natura, distruzione dell’equilibrio psico-fisico ( sospire, dolore, sbigottimento).


Voi che per li occhi mi passaste 'l core


Voi che per li occhi mi passaste 'l core
e destaste la mente che dormia,
guardate a l'angosciosa vita mia,
che sospirando la distrugge Amore.

È vèn tagliando di sì gran valore,
ch è deboletti spiriti van via:
riman figura sol en segnoria
e voce alquanta, che parla dolore.
Questa vertù d'amor che m'ha disfatto
da' vostr'occhi gentil'presta si mosse:
un dardo mi gittò dentro dal fianco.

Sì giunse ritto 'l colpo al primo tratto
che l'anima tremando si riscosse
veggendo morto 'l cor nel lato manco



Voi che mi trapassaste il cuore attraverso i miei occhi, e svegliaste la mente che dormiva, guardate la mia vita angosciosa che Amore la distrugge sospirando. Egli avanza tagliano con così tanta forza che manda via gli spiriti deboli ( facoltà) e gli rimane in potere solo l’aspetto esteriore e poca voce che parla di dolore. Questa forza dell’amore che mi ha distrutto, si mosse veloce dal vostro sguardo gentile: mi scagliò una freccia nel fianco. Così preciso giunse il colpo al primo lancio che l’anima si riscosse tremando, vedendo il cuore morto nel lato sinistro.

Organi e facoltà dell’io compaiono personificati. È una vicenda psicologica che viene trasformata in un’azione scenica molto drammatica, ma anche astratta perché il lettore comprende che la deve intendere metaforicamente, attraverso l’uso di un lessico tecnico metafore e personificazione

Io voglio del ver la mia donna laudare


Io voglio del ver la mia donna laudare
ed assemblarli la rosa e lo giglio:
più che stella diana splende e pare,
e ciò ch' è lassù bello a lei somiglio.

Verde river' a lei rasembro e l'âre
tutti color di fior', giano e vermiglio,
oro ed...

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Italiano
Comments: 0 | Views: 948Last Post by: _Lind@_ (22/2/2010, 15:55)
 

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